La storia dell'Amarone nasce dolce

La storia dell'Amarone nasce dolce

La storia dell’Amarone nasce dolce: l’antico vino della Valpolicella è sempre stato il Recioto

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18/08/2013


L’antico vino della Valpolicella è sempre stato il Recioto, un nettare rosso rubino dolce e speziato, molte volte frizzante che allietava le tavole delle case dei vignaioli e dei salotti della nobiltà cittadina.

Il nome Recioto compare solo dopo la metà dell’800 in quanto precedentemente era chiamato “acinatico” o più comunemente “vin santo”.
Dell’Acinatico parla già  Flavio Magno Aurelio Cassiodoro, Senatore e Prefetto alla corte ravennate dell’Ostrogoto re Teodorico.
Egli lo definiva un vino regale con un sapore particolare dove pervade il color porpora.
La sua dolcezza si percepisce con soavità e al tatto accresce la sua densità tanto che si potrebbe dire trattarsi di un liquido carnoso e di una bevanda masticabile. Cassiodoro spiega anche le tecniche di produzione che sono ancora sostanzialmente quelle attuali.

Recioto ricordiamolo deriva dalla parola “recia” che nel dialetto veronese significa orecchia e riprende i lobi più alti del grappolo che contengono gli acini con maggiore concentrazione di succo e di componenti strutturali, oltre a  precursori aromatici fondamentali per dare complessità.

Quell’acinatico ha sempre rappresentato il vino di lusso della Valpolicella e iniziò la sua decadenza verso la fine dell’800.
L’intellettuale veronese Giovan Battista Perez che scrisse “La provincia di Verona e i suoi vini”, nel 1899 affermò a riguardo del consumo di Recioto, “quantunque adesso sia passata la moda del vino rosso dolce!”.
In effetti la grande sfida per i produttori della Valpolicella stava diventando sempre più quella di rendere amaro il Recioto che iniziava ad essere denigrato dai salotti buoni della città e il famoso architetto Maffei addirittura lo chiama in maniera dispregiativa “recchiotto”.
Si fa di tutto per renderlo amaro. Addirittura in alcuni casi ci si spinge fino all’aggiunta di erbe amare in fase fermentativa.
Ma i risultati sono alquanto deludenti.
Ebbene tutto ciò continua fino agli anni trenta ma c’è un punto di frattura che segna definitivamente la nascita del grande vino Amarone.

È il 1938 e tutto avviene nelle antiche cantine di Villa Novare che a quel tempo erano state lasciate in dotazione della prima cooperativa tra produttori della Valpolicella. Non è leggenda ma realtà. Durante un sopralluogo in cantina il responsabile Adelino Lucchese si accorse di una imperdonabile dimenticanza: una botte lasciata in un angolo  non travasata. Preoccupato che fosse diventata aceto si premurò di riempire il “ladro” di vetro e di versarne un po’ in un bicchiere.
I profumi non erano aceto anzi!
Una complessa sensazione di frutto e spezie amaricanti. Appoggiatolo alle labbra si lasciò andare ad un gemito di gioia e corse a chiamare il Direttore della Cantina Gaetano dall’Ora. Anche lui rimase colpito ed esclamò: “Sta ‘olta te l’è proprio indovinà!”. E Adelino disse: “Questo no l’è mia amaro…l’è un amarone!”.
Da quell’attimo ad oggi è storia!
 

Bernardo Pasquali